Otto anni dell’era di Hassan Rouhani, in carica dal 2013, sono finiti. Il 48,8% dei 59 milioni di iraniani aventi diritto al voto (la percentuale più bassa dalla nascita della Repubblica islamica) vuole un governo più forte, più conservatore, più antiamericano. Da notare che su una popolazione di 83 milioni di abitanti il 30% non ha l’età minima di 18 anni richiesta per votare.
Il nuovo governo del giudice-mullah Ibrahim Raisi, appoggiato sia dalla Guida Suprema Alì Khamenei (82 anni), che lo vuole pure come suo successore, sia da tutte le altre istituzioni della Repubblica: dal Consiglio dei Guardiani ai Pasdaran, si è aggiudicato quasi 18 milioni di voti.
Raisi si era già candidato alle presidenziali del 2017, costruendosi l’immagine del “giudice anti-corruzione”. Ma vinse di nuovo Rouhani, sostenuto dall’intera fazione riformista (e l’affluenza alle urne fu del 73%). In un dibattito tv Rouhani zittì il rivale dicendo che “gli iraniani non accetteranno chi ha impiccato e incarcerato persone per gli ultimi 38 anni”. E l’elettorato gli diede ragione: Rouhani ebbe il 57% dei voti, Raisi il 38%. Ma oggi gli ha dato torto, anche se sarebbe meglio dire che ha vinto l’astensionismo.
In effetti Raisi, da giovane pubblico ministero, fu tra i 4 membri della cosiddetta “Commissione della morte” del 1988 che, senza processo, decise l’esecuzione di almeno 3.000 (ma qualcuno calcola 30.000) prigionieri politici. E ovviamente nessuno si sogna di rimproverargli quella strage, per la quale gli Stati Uniti lo misero sotto sanzioni. Anche perché ha continuato a eliminare dissidenti nel 2009, 2018 e 2019. Al punto che Abdolnaser Hemmati, suo principale rivale in queste elezioni, gli ha detto in un dibattito televisivo: “Tu sei a capo del sistema giudiziario e sei anche candidato presidente. Mi garantisci che non mi farai arrestare se dico qualcosa contro di te?”. Infatti con Raisi presidente nei prossimi quattro anni tutte le cariche del Paese saranno in mano ai conservatori.
Tuttavia Hemmati, governatore della Banca Centrale, non aveva alcuna chance di vittoria. Il Rial, moneta nazionale, ha perso il 40% del valore nel 2020 e il 30% quest’anno, impoverendo chi non aveva risparmi in valuta estera. Per non parlare del fatto che i prezzi dei generi alimentari di base rincarano quasi ogni settimana e che dall’anno scorso si vende il 40% in meno. I turisti europei e americani non esistono più da un pezzo. Se non si arriva a un accordo con gli americani che liberi il Paese dalle sanzioni, il tracollo è assicurato.
Le sanzioni infatti, causate anche dal mancato accordo sul nucleare, sono durissime (hanno vietato persino le transazioni bancarie con l’estero). L’Iran non ha neppure i soldi per comprarsi un vaccino, e un vero e proprio lockdown non c’è mai stato, anche perché il governo non sarebbe stato in grado di garantire generose misure di welfare. Ecco perché il Paese detiene il record di morti per l’intero Medio Oriente (10.000 nuovi contagi quotidiani), con appena il 6% di vaccinati.
Anche se ha vinto Raisi, il potere degli ayatollah fa acqua da tutte le parti. La rivoluzione khomeinista è stata un totale fallimento. Non basta essere antiamericani per essere democratici, né per garantire uno sviluppo economico accettabile. Lo scollamento con la fetta più giovane del Paese è sempre più netto. L’età media è di soli 27 anni, e 2/3 della popolazione ha meno di 35 anni. Più della metà degli elettori non erano neanche nati quando la rivoluzione islamica trionfò sul regime dello Scià Reza Pahlavi. Ed è difficile capire il motivo per cui i governi debbano essere guidati da dei sacerdoti. O perché i 12 membri del Consiglio dei Guardiani (di cui 6 nominati direttamente da Khamenei) si siano sbarazzati dei candidati ritenuti scomodi, accettandone solo 6 su 600, che poi son divenuti 3 e tutti rigorosamente conservatori.