Il linguaggio è sacro: non abbiamo il diritto d’incastrare tra loro le parole come se fosse un gioco intellettualistico. Suscitare emozioni in virtù di questi giochi fa parte di quella oziosità tipica delle classi dominanti, che hanno tempo da perdere proprio perché vivono di rendita e possono non preoccuparsi dei problemi altrui.
Il linguaggio deve servire per comprendere la realtà, e il modo migliore per farlo è quello di risolvere problemi, di soddisfare desideri, di superare gli antagonismi. Qualunque parola detta in più è solo uno spreco di risorse.
Se non siamo in grado di renderci utili agli altri, è meglio tacere. Non possiamo avere la pretesa d’essere ascoltati solo perché possiamo dimostrare di avere un linguaggio evoluto, raffinato.
Considerando che la complessità della realtà e della stessa essenza umana va al di là di qualunque possibile sua descrizione linguistica (o anche rappresentazione simbolica), sarebbe meglio attenersi a un linguaggio semplice ed efficace, privo di retorica.
È la realtà che deve parlare: il linguaggio deve porsi al suo servizio. È la realtà che deve colpire l’immaginazione, suscitare emozioni, indurre a prendere decisioni. Il linguaggio è tanto più efficace quanto più è aderente alla realtà.
A volte, anzi, è preferibile alle spiegazioni verbose o analitiche, una semplice rappresentazione simbolica dei fatti, la cui profondità non sta in sé, ma proprio in ciò che viene rappresentato.
È la vita, con le sue passioni, i suoi contrasti, i sentimenti che la caratterizzano, che deve comunicarci qualcosa, lasciandoci il tempo di riflettere, di prendere delle decisioni.
Noi dobbiamo assolutamente avere la convinzione di poter fare qualcosa di autonomo, proprio perché la vita va al di là di qualunque parola o gesto che la possa esprimere. Se tutto quello che possiamo fare a favore della vita fosse descritto in un testo o rappresentato in un simbolo, noi non saremmo esseri umani, ma macchine.
Il linguaggio deve servire soltanto per suggerire un’azione, non per delimitare i confini in cui muoversi. Le scelte vanno compiute sul momento, mettendo alla prova la propria libertà, la propria intelligenza. L’importante è avere una sufficiente consapevolezza del problema da risolvere.
Pretendere di avere una conoscenza esaustiva delle cose, è illusorio, è innaturale, è pericoloso, poiché si tende a trasformare un essere pensante in un semplice esecutore. Non si può mai obbedire ciecamente a un ordine perentorio; non ci si può mai fidare passivamente di un’intelligenza del tutto esterna alla nostra, altrimenti si creano mostri, si diventa irresponsabili.
Dateci un problema da risolvere e, con esso, la possibilità, non la necessità, di farlo. Non vogliamo direttive assolute, ma relative. Se mi dici che quello che devo fare, lo devo fare subito, devo sapere che potrei anche non farlo e che, se decido di farlo, è perché sono convinto della sua giustezza, non semplicemente perché mi è stato chiesto. E accetterò di eseguire l’ordine proprio perché l’ho fatto consapevolmente. E non metterò a repentaglio la sicurezza di chi me l’ha dato, evitando di eseguirlo all’ultimo momento.
Un qualunque ordine deve sempre essere basato su delle motivazioni, altrimenti siamo soltanto marionette, e se ci vogliono soltanto così, conviene ribellarsi, perché sicuramente si avranno meno probabilità di sbagliare. Conviene rischiare qualcosa, persino la vita, evitando di eseguire un ordine che ci appare immotivato, che non rischiare nulla soltanto per fare un favore alla coerenza che ci viene imposta.
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