Migliori di quelle tomistiche sono le posizioni che non si preoccupano di rendere più credibile la fede agli occhi della ragione, ma quelle che tendono a separare nettamente la fede dalla ragione, privilegiando quest’ultima (cosa però che avverrà, in maniera esplicita, solo con l’Umanesimo e il Rinascimento).
Purtroppo ai tempi di Tommaso d’Aquino e anche dopo la sua morte, la corrente che mirò a tenere separata la fede dalla ragione era il neo-agostinismo, il quale non solo difendeva un concetto astratto di fede, privo della corrispondente esperienza pratica, ma impediva anche alla ragione una qualunque forma di autonomia. La ragione era separata dalla fede solo nel senso che le era strettamente subordinata.
Il neo-agostinismo separava la fede dalla ragione per svalutare completamente quest’ultima e, facendo questo, non si rendeva conto che l’esperienza cristiana, sin dagli ultimi secoli dell’alto Medioevo, era già entrata profondamente in crisi, e la nascita dei Comuni, lo sviluppo della borghesia, il fenomeno delle crociate e dei movimenti ereticali non faranno che confermare questo declino.
Per difendersi da queste espressioni di crisi (che naturalmente non tutti interpretavano così), il neo-agostinismo non elaborò una nuova soluzione operativa, ma una nuova teologia, tipicamente accademica: una teologia che continuasse ad avere come contenuti fondamentali quelli classici dell’agostinismo, ma che li esprimesse in una forma diversa, più filosofica, quelli tipici della Scolastica.
Ecco perché il tomismo, al cospetto del neo-agostinismo, può essere considerato, nonostante i suoi limiti, una riflessione filosofica progressista, avendo saputo meglio valorizzare lo strumento della ragione.
Tuttavia, ancora più progressiste del tomismo sono quelle correnti che abbandonarono il concetto astratto di fede dei neo-agostiniani, e che: o recuperarono il valore tradizionale (patristico) della fede religiosa (alcuni movimenti ereticali); o spinsero il concetto di fede verso una forma di secolarizzazione che anticiperà la Riforma protestante (altri movimenti ereticali); o che addirittura elaborarono un concetto più laico di ragione (vedi ad es. Ruggero Bacone). Probabilmente l’unica corrente che in Europa occidentale cercò di separare nettamente la fede cristiana più autentica dalla ragione, valorizzando però entrambe, fu il neo-francescanesimo (R. Bacone, Duns Scoto e Occam).
I neo-francescani, mirando a purificare la fede, produssero questo stupefacente risultato: contribuirono a rendere più laica e scientifica la ragione. E questo avvenne in quel Paese che più di ogni altro aveva conservato le tracce della teologia ortodossa (andate irrimediabilmente perdute negli altri Paesi europei: in Italia si conserveranno nella pittura, almeno sino a Giotto). Questo Paese era l’Inghilterra.
Come mai i neo-francescani inglesi e scozzesi non caddero nell’oscurantismo dei neo-agostiniani? Semplicemente perché avevano lo sguardo rivolto verso il futuro e non verso il passato (o, se verso il passato, non verso quello del compromesso costantiniano di chiesa e Stato, ma verso quello del cristianesimo primitivo e ortodosso).
I neo-francescani (favoriti, in questo, anche dalla distanza geografica della loro nazione rispetto al centro della cristianità latina) lottarono con coraggio contro le pretese temporali della chiesa. Il loro realismo umanistico è degno della massima considerazione.
Che poi lo sviluppo autonomo della ragione abbia portato in Inghilterra all’empirismo e allo scetticismo, questo è un altro discorso. Ruotando in un’orbita occidentale, l’Inghilterra francescana non poteva produrre qualcosa di diverso: in fondo l’empirismo è servito anche a togliere di mezzo le astratte speculazioni della Scolastica.
Il problema vero dei neo-francescani inglesi, semmai, è stato un altro. In effetti, il tentativo di recuperare la fede religiosa più autentica, in un’epoca in cui il valore della ragione aveva raggiunto livelli molto significativi, rischiava facilmente di portare al misticismo. Gli uomini non possono prescindere dalle leggi fondamentali del loro tempo. Duns Scoto e Occam, in questo senso, vanno attentamente vagliati: spesso il loro progressismo era più evidente in politica che in filosofia.
Il recupero integrale della fede ortodossa, in un’Europa ormai caratterizzata dalla speculazione filosofica, dal materialismo dell’esperienza borghese, dalla riscoperta (accademica) dell’aristotelismo, non poteva, di fatto, più essere possibile. Persino nell’impero bizantino la teologia ortodossa, in questo periodo, faticava alquanto a restare coerente con se stessa.
Pertanto, se vogliamo valorizzare lo sforzo neo-francescano di separare la fede dalla ragione, dobbiamo farlo solo situandolo in una prospettiva in cui si possa assicurare il primato della ragione.
In questo senso, chi ha veramente superato Tommaso d’Aquino, nel XIII sec., sul piano scientifico, è stato R. Bacone, mentre sul piano politico, nel XIV sec., è stato Marsilio da Padova (che francescano non era). Le riflessioni teologiche di Duns Scoto e di Occam non hanno nulla di originale rispetto a quelle della teologia ortodossa, e possono essere considerate progressiste solo in quanto di esse si approprierà la Riforma protestante, la quale però le rielaborerà in una forma che di religioso, in ultima istanza, avrà ben poco.
Questo dimostra inconfutabilmente che non si può conservare la fede ortodossa a prescindere dall’esperienza cristiana corrispondente. La mancanza di questa esperienza ha prodotto nell’Europa occidentale la nascita dell’ideologia borghese, mentre nell’Europa orientale ha prodotto la nascita dell’ideologia socialista.
In particolare, si è avuto che, mentre in Occidente l’ideologia socialista è nata senza concretarsi in forme coerenti, venendo meno così anche al suo sviluppo teoretico ulteriore; nell’Europa orientale si è passati dalla fede ortodossa (e in parte cattolica) all’ideologia socialista sulla base dell’esperienza corrispondente, per cui lo sviluppo dell’ideologia è stato considerevole.
Oggi l’ideologia e la prassi socialista tradizionali sono entrati profondamente in crisi, e in molte nazioni dell’Europa orientale (specie in quelle di religione cattolica) si sta abbracciando il capitalismo, e questo proprio mentre in Occidente si sta assistendo al declino irreversibile della stessa ideologia borghese, cui però non corrisponde un’esperienza alternativa.
Per uscire da quest’impasse occorrerebbe che tutta l’Europa accettasse di vivere una nuova esperienza del socialismo, su basi democratiche, autogestite e umanistiche.
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